Scenes of Extraction

Scenes of Extraction crea una costellazione d’archivio con le immagini fisse e in movimento degli archivi della British Petroleum, documentando la vasta rete coloniale dietro il complesso energetico britannico che si estendeva in tutto l’Iran, ma raggiungeva anche altre attività petrolifere britanniche nel Sud-Est asiatico. L’opera si snoda attraverso decenni di documenti d’archivio per delineare la storia visiva del metodo della “sismica a riflessione” per l’esplorazione petrolifera, sperimentato in modo massiccio nella cintura petrolifera iraniana nonostante la sua natura distruttiva. Il film analizza il rapporto tra l’economia politica della fotografia, le tecnologie d’archivio e la storia visiva dell’estrazione delle risorse in Iran.

«Negli ultimi cinque anni ho svolto ricerche sui primi rilevamenti geologici e sulle mappature sismiche effettuate nelle province sud-occidentali dell’Iran, dove la maggior parte dei giacimenti petroliferi è stata scoperta e sviluppata all’inizio del XX secolo. Le fotografie, i film e le riviste utilizzati provengono dalla cineteca e dalle collezioni fotografiche della British Petroleum, oltre che dal mio archivio personale, raccolto nel corso di un meticoloso processo di ricerca archivistica durato 5 anni. Come regista e ricercatrice che lavora all’intersezione tra la pratica dei media documentari e la ricerca sulle arti visive, questo film è guidato dall’archivio come prisma concettuale, oggetto materiale e pratica immaginativa. Esamino le temporalità archivistiche e l’estetica probatoria che caratterizzano le pratiche di fotografia etnografica nelle prime esplorazioni coloniali del petrolio in Iran. Nel farlo, considero l’archivio come un portale verso un altrove e un altrove-quando, dove il materiale d’archivio è sia la prova che la scena del crimine. Il film naviga ulteriormente nell’archivio come modalità e soglia per sviluppare strategie artistiche tattiche, speculative e sperimentali per rifiutare, animare e sconfessare l’orientamento del tempo e dello spazio nell’episteme coloniale.»

— Sanaz Sohrabi