Di seguito, pubblichiamo qualche domanda rivolta alla regista Dana Najlis in merito al suo film in concorso The Hidden Gesture. War and Melodrama in Hollywood’s 30s and 40s.
Archivio Aperto esplora il tema della memoria e degli archivi. In che modo il tuo film intercetta questo tema? Quali elementi del film sottolineano questa esplorazione della memoria?
In qualche modo, i film che ho amato di più sono quelli che riguardano la storia, da ogni punto di vista. Scrivo soprattutto di film, sempre da una prospettiva storicista. Il compito più arduo non sta nel cercare di resuscitare vecchie formule, ma piuttosto scavare per recuperare ciò che è stato omesso, emarginato o messo fuori fuoco. I film sono lì per essere visti, ma la maggior parte non viene proiettata. Questo potrebbe essere il primo problema che abbiamo. Il secondo riguarda qualcosa di più grande, e cioè la nozione di linguaggio – un concetto che al giorno d’oggi può dire poco alla maggior parte delle persone. Ecco di cosa parla il mio film. La nostra memoria è la nostra ombra, ed è tutta questione di linguaggio. Questo è ciò con cui abbiamo a che fare, ed è la cosa più divertente e problematica a cui riesco a pensare.
In che modo le immagini di archivio influenzano la costruzione della narrazione? Puoi parlarci di una sequenza nel tuo film in cui le immagini di archivio hanno trasformato o arricchito il messaggio che intendevi comunicare?
Onestamente non ho mai considerato il materiale del mio film come immagini d’archivio. Né avevo un messaggio a priori che potesse giustificare i materiali con cui ho deciso di lavorare. La costruzione di questo film mi è sembrata un processo naturale nel mio modo di pensare, e non solo di cinema. Il messaggio, in ogni caso, ha a che fare con il linguaggio e con un aspetto molto primitivo della nostra vita. Se insisto su questo aspetto è perché trovo sempre più difficile trovare nel cinema contemporaneo una narrazione che trasmetta una percezione interessante della storia, dove il passato possa funzionare come elemento costruttivo e non solo come una serie di regole da imitare o seguire. Sembra che oggigiorno la maggior parte dei cineasti sia interessata all’idea dei “sintomi” e, naturalmente, ci sono critici cinematografici che sostengono questa idea da molti anni. Molti film cercano di separare il passato dal presente affinché i sintomi del nostro tempo possano emergere e trasformarsi nella materia dei film. Evitare o cancellare il passato non è mai stato una buona cosa, né nel cinema né in qualsiasi altra disciplina, e certamente non nella nostra vita. Sono molto scettica riguardo a questa nozione di sintomo e quindi sono sempre alla ricerca di modi alternativi di guardare i film e di pensarli. In questo modo si potrebbe dire che il mio film non si propone di costruire qualcosa, ma di decostruire il cuore del cinema americano, la tragica realtà degli esseri umani sempre alla ricerca di qualcosa che gli sfugge. La chiave è la guerra: nessun soldato può tornare da lì. Le anime vengono distrutte per sempre; la fede è perduta e gli uomini devono costruire la propria vita su un campo di ombre spaventose.
Quali sono i film found footage o sperimentali che hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione?
C’è un film di Gregory La Cava che mi è stato consigliato da un mio caro amico, e questo è molto importante perché c’è un modo in cui arriviamo ai film che ci segnano. I film non sono solo qualcosa che appare dal nulla: c’è qualcos’altro ad essi legato, qualcosa che riguarda le persone che ci circondano, quelle persone che abbiamo la possibilità – o la sfortuna – di incontrare nella nostra vita. Sono quelle che ci spingono a pensare di più e meglio. Ma soprattutto sono loro che possono arricchire il piacere di guardare i film, e questo non va dimenticato. Il piacere e la gioia hanno sempre guidato i buoni film. Il film di La Cava si intitola His Nibs (1921) e lì ho trovato un esempio di tutto questo.