Di seguito, pubblichiamo qualche domanda rivolta alla regista Janet Harbord in merito al suo film in concorso Autism Plays Itself.
Archivio Aperto esplora il tema della memoria e degli archivi. In che modo il tuo film intercetta questo tema? Quali elementi del film sottolineano questa esplorazione della memoria?
Il cinema fa due cose. Documenta e preserva ciò che sta davanti alla cinepresa e lo trasmette nel tempo. In un certo senso queste due proprietà funzionano l’una contro l’altra perché la documentazione è una fissazione di eventi mentre la trasmissione non è mai sicura: il modo in cui un film viene ricevuto e compreso cambia enormemente nel tempo. Autism Plays Itself si confronta con entrambe le proprietà del film. La sua motivazione è in primo luogo quella di guardare indietro a una registrazione di eventi, l’osservazione di bambini autistici in una clinica negli anni Cinquanta, e di scoprire cosa viene documentato nel loro comportamento. In secondo luogo, il film parla di come quelle sequenze di immagini si trasmettono nel tempo, di come approdano nel presente.
Il Neurodiversity Movement ha trasformato il modo in cui l’autismo è percepito, comprendendolo come un modo di essere nel mondo con un accresciuto apprezzamento sensoriale degli eventi e una particolare forza nel capire le proprietà del mondo non umano (la consistenza della sabbia che cade, oggetti con superfici riflettenti). Lavorando con tre partecipanti autistici, ciò che viene trasmesso nel tempo mentre guardano i bambini non è una serie di errori o “deficit” evidenti, ma la risposta dei bambini al loro ambiente in modi variamente gioiosi, intelligenti e ispirati. Il loro commento colora il modo in cui ogni pubblico comprende il comportamento dei bambini. Creano le condizioni per la trasmissione attuale.
In che modo le immagini di archivio influenzano la costruzione della narrazione? Puoi parlarci di una sequenza nel tuo film in cui le immagini di archivio hanno trasformato o arricchito il messaggio che intendevi comunicare?
Una delle cose che il cinema fa così bene, e come ha notato il filosofo Giorgio Agamben, è catturare il corpo umano mentre gesticola, il suo movimento verso il significato. Il film d’archivio originale, Aspects of Childhood Psychosis (1957), è deprimente quando lo guardi; le didascalie mediche interpretano il comportamento dei bambini come patologico. Quello che ho visto quando ho tolto le didascalie era un gruppo di bambini che gesticolavano. Il film aveva colto la vivacità dei loro movimenti, il ritmo delle loro azioni, la forza dei corpi che si muovono ripetutamente, a dispetto di ogni determinazione clinica.
Mentre riproducevo le sequenze più e più volte, ho scoperto che i gesti dei bambini rimanevano con me. Ho persino cominciato a imitarli. C’è una sequenza circa a metà del film in cui c’è una ragazza seduta sul pavimento che raccoglie delle cose in grembo. Ne raccoglie un frammento dal pavimento e lo assaggia. Il suo corpo sobbalza verso l’alto come se il gusto l’avesse animata e sorride alla telecamera. Alza la gonna con dentro i vari oggetti e li porta via. È una sequenza molto breve. Lavorando con la brillante montatrice Sasha Litvintseva, abbiamo scoperto che la vivacità dei bambini veniva amplificata dalla ripetizione dei gesti più e più volte. Questo è stato davvero il punto di riferimento del film: i gesti dei bambini che saltano fuori dal loro contesto originale per parlare nel presente. Una delle cose importanti, per me, nel lavorare con le immagini d’archivio non è solo il ritorno al passato per riconsiderarlo (di cui si parla spesso), ma l’operazione del passato sul presente. I bambini autistici di settant’anni fa ci insegnano il significato dei gesti autistici: una masterclass su come prestare attenzione a ciò che ci circonda.
Quali sono i film found footage o sperimentali che hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione?
Ci sono tre film che sono stati importanti per la realizzazione di Autism Plays Itself. Il primo è Scrapbook (2015) del regista canadese Mike Hoolboom. È un film che ritorna su filmati girati in un’unità infantile in Ohio nel 1967 da un artista di nome Jeffrey Paull, che era anche tutore di Hoolboom. Il film rielabora il filmato con la voce fuori campo di una delle residenti autistiche, Donna Washington, che appare nei materiali d’archivio. La vulnerabilità e l’apertura dei volti dei bambini sono straordinarie, espressioni che raramente vediamo nei film. Il sound design è stato fonte di ispirazione. Ho lavorato con Tom Fisher per sviluppare toni simili e suoni non diegetici provenienti dal mondo naturale per creare il paesaggio sonoro di Autism Plays Itself.
Il secondo film è I Take My Place in History (2008) di Samson Kambalu, un film di 30 secondi in cui l’artista crea un film d’archivio per contrastare l’assenza di soggetti neri nella storia del cinema. Utilizza le tecniche di grana dell’immagine, desaturazione del colore e regolazione della velocità in modo che il film abbia l’atmosfera del cinema delle origini. Kambalu interpreta un uomo che indaga nei sotterranei di una galleria d’arte. Tra le infinite statue di uomini bianchi in pose classiche, Kambalu cerca e alla fine si infila in uno spazio. L’idea di inserire una presenza assente nella storia è stata importante per riflettere sull’assenza di presenza autistica nella storia del cinema.
Più in generale, Nitrate Kisses (1992) di Barbara Hammer è stato importante, un film che sfida formalmente il modo in cui viene registrata la storia. Ci incoraggia a conservare ritagli, lettere, diari e resoconti per consentire il racconto di storie di vite marginali. Il progetto di Hammer è preservare la passione e l’erotismo delle vite femminili queer, un argomento che mi sta a cuore.