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15.11.2024

Intervista a João Pedro Bim

Intervista a João Pedro Bim

Di seguito, pubblichiamo qualche domanda rivolta al regista João Pedro Bim in merito al suo film in concorso Behind Closed Doors.

Archivio Aperto esplora il tema della memoria e degli archivi. In che modo il tuo film intercetta questo tema? Quali elementi del film sottolineano questa esplorazione della memoria?

 

Behind Closed Doors è realizzato interamente con materiale d’archivio, ma di un tipo particolare: si tratta di materiale prodotto dallo stato brasiliano durante la dittatura militare (1964-1985). Da un lato c’è la registrazione audio di un incontro segreto in cui i ministri decidono di intensificare le misure autoritarie. D’altro canto, lavoriamo con materiale di propaganda prodotto dal regime per la proiezione pubblica nei cinema e in televisione. Esploriamo la somma o lo scontro di questi due elementi per cercare di rivelare qualcosa su come questo stato autoritario ha parlato di sé e si è rappresentato. Si tenta di ricreare l’esperienza di essere soggetti a queste immagini, di sedersi in un cinema nel 1974 e dover assistere alla propaganda del regime. Siamo convinti dell’efficacia di queste immagini, e c’è qualcosa nel mostrarle nuovamente per cercare di comprendere l’attualità del discorso della dittatura in Brasile. Ho sentito persone sulla sessantina che hanno visto il film: “Ricordo quell’immagine, ricordo quella musica”. Il film è forse interessato a come questo tipo di produzione audiovisiva avrebbe potuto generare un certo grado di consenso nella società brasiliana dell’epoca – e cosa potrebbe persistere nel Brasile di oggi.

 

Il passo successivo è provare a decostruire queste immagini per creare un disagio che distanzia lo spettatore. È qui che entra in gioco l’intervento di montaggio, abbinato all’audio della riunione di governo. Nell’audio le cose sono più dirette, come dicono esplicitamente i ministri: “stiamo precipitando in una dittatura”. È uno sguardo dietro le quinte che ha rilevanza nella memoria politica del Brasile, soprattutto in un contesto in cui settori significativi della società negano l’esistenza stessa della dittatura così com’era.

 

In che modo le immagini di archivio influenzano la costruzione della narrazione? Puoi parlarci di una sequenza nel tuo film in cui le immagini di archivio hanno trasformato o arricchito il messaggio che intendevi comunicare?

 

Poiché questo materiale era uno strumento di costruzione del consenso, l’ho esplorato in due modi: mostrandolo, con l’obiettivo di evidenziarne il contenuto e l’efficacia formale, e prendendone le distance, con l’obiettivo di favorire una prospettiva critica nello spettatore. Il discorso ci dà degli indizi e cerchiamo di vedere ciò che è sfuggente, ciò che passa inosservato, la violenza racchiusa in una frase o in uno scatto. Magari per cercare qualche verità storica creando un mosaico di bugie.

 

C’è una sequenza, ad esempio, sulla costruzione dell’autostrada transamazzonica negli anni Settanta. La sequenza glorifica la deforestazione, esalta il progresso dei grandi progetti infrastrutturali, l’arrivo della “civiltà” in Amazzonia. Se lo guardi, noterai che la propaganda è piena di vocabolario nostalgico del periodo coloniale brasiliano. Cerchiamo di portarlo in primo piano attraverso il montaggio: accoppiamo questa scena con una serie di frammenti di propaganda in cui la dittatura fa riferimento alla storia brasiliana, glorificando sempre i grandi “eroi” dell’era coloniale. Attraverso il montaggio, cerchiamo di suggerire che c’è qualcosa che viene omesso: una terribile violenza contro le popolazioni indigene e locali, nascosta nelle immagini del progresso. Poi arriva l’audio del ministro, in cui si afferma che il regime deve rafforzarsi per garantire lo sviluppo economico… È davvero una storia a lungo termine, una continuazione dello sfruttamento coloniale in termini moderni. Era già lì negli archivi, abbiamo solo dovuto assemblarla, riorganizzarla e provare a portarla in superficie.

 

Quali sono i film found footage o sperimentali che hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione?

 

Penso principalmente al lavoro di Harun Farocki (in particolare Images of the World and the Inscription of War e The Silver and the Cross). I saggi di Chris Marker e di Patricio Guzman. Radiography of a Family di Firouzeh Khosrovani. I brasiliani Images of the Estado Novo di Eduardo Escorel, One Day in the Life di Eduardo Coutinho e Portraits of Identification di Anita Leandro. E mentre realizzavo Behind Closed Doors, ho pensato molto al lavoro di Gianikian e Ricci Lucchi, a History Lessons di Barbara Hammer, a Fordlandia Malaise di Susana de Sousa Dias e a Una Giornata Particolare di Ettore Scola.