Di seguito, pubblichiamo qualche domanda rivolta al regista Lorenzo Pallotta in merito al suo film in concorso Terra Nova – Il paese delle ombre lunghe.
Archivio Aperto esplora il tema della memoria e degli archivi. In che modo il tuo film intercetta questo tema? Quali elementi del film sottolineano questa esplorazione della memoria?
Per me è stata la prima esperienza di lavoro con il materiale di archivio. È stata una scoperta straordinaria, non perché non credessi nel potenziale dell’archivio, ma perché da quel momento la mia idea è stata quella di continuare su questa linea e provare a inserirlo anche nei successivi lavori. Nel nostro film, infatti, è stato proprio il materiale di archivio ad aiutarci a trovare la linea narrativa. Anche la scelta visiva e sonora deriva proprio da lì. Il materiale di archivio, di proprietà della mediateca dell’ENEA, è stato recuperato da me durante la 38a spedizione italiana in Antartide. Mentre lavoravo e giravo in nave con la mia piccola handycam, ho visto questo materiale straordinario che, per certi versi, ha molti punti in comune con il mio, soprattutto per il punto di vista osservativo. La differenza sta nel racconto: la voce di chi fa le riprese è diventata la nostra guida. Un operatore che non vediamo mai, ma che ci racconta secondo dopo secondo cosa accade e le emozioni che prova durante la spedizione. In quel momento ho sentito una vicinanza con questa figura. Ho pensato che il mio viaggio e il suo avessero la stessa anima, lo stesso sentimento. Mi riferisco al sentimento della scoperta e della paura. Il secondo punto è stato quello di creare una relazione ancora più forte tra il passato e il presente, portando lo spettatore a perdersi nelle epoche, facendo diventare il film un unico viaggio, dove le difficoltà della sua spedizione si intrecciano con le mie, creando un vero e proprio viaggio nella memoria. Dove non arrivano loro, arriviamo noi, creando una sorta di pausa nel tempo, come se i due capitoli storici diventassero una linea unica di sviluppo narrativo ed emotivo.
In che modo le immagini di archivio influenzano la costruzione della narrazione? Puoi parlarci di una sequenza nel tuo film in cui le immagini di archivio hanno trasformato o arricchito il messaggio che intendevi comunicare?
Prendo in esempio una sequenza del film che, a mio parere, è fortemente ipnotica. Ad un tratto, nel materiale di archivio, viene raccontato un momento in cui ricercatori, tecnici e marinai stanno testando nuovi macchinari sperimentali per il campionamento delle acque. L’operatore, che si occupa di documentare tutti gli eventi, dai più felici ai più pericolosi, inquadra per un istante un altro operatore, mai visto prima. Questo operatore, a sua volta, punta la macchina da presa su di noi, quindi sullo spettatore e sul nostro narratore. In quel momento, durante il montaggio, ho sentito che il mio sguardo era davvero connesso al suo. Come se per un attimo ci fossimo entrambi ritrovati nella stessa barca, nella stessa spedizione. È anche per questo motivo che proprio in questa scena abbiamo deciso di utilizzare la tecnica del reverse come elemento narrativo. Ad un tratto, operatori e tecnici si muovono all’indietro, in una sorta di danza che porta con sé il senso della memoria e del tempo, come se fosse un grande cerchio che si ripete all’infinito. È stato per me come congelare quell’istante in un momento eterno e senza tempo.
Quali sono i film found footage o sperimentali che hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione?
Questa domanda è la più difficile, perché, come dicevo, non è molto che mi sono avvicinato a questo linguaggio. Vorrei però citare registi o film che hanno davvero sperimentato con il linguaggio, con il suono e soprattutto con la memoria e, di conseguenza, con l’illusione del tempo. Lavori che mi hanno colpito e, per certi versi, infuenzato, soprattutto riguardo al ragionamento sul materiale filmico, sul linguaggio e sul posizionamento di certe immagini all’interno di un percorso fortemente emotivo. Registi come Asif Kapadia, la trilogia di Godfrey Reggio, alcuni film di Pietro Marcello come La bocca del lupo, e un regista che sto approfondendo recentemente come Oskar Alegria. Ultimamente, ad esempio, ci sono un paio di film italiani che mi hanno davvero emozionato e colpito, come Gli ultimi giorni dell’umanità e Dal pianeta degli umani. Ci sono molti film che sicuramente sto dimenticando. Ho forse nominato quelli che in questi mesi mi sto portando dentro per il mio prossimo film. Credo che oggi, più che mai, sia importante non tanto il film o il regista di riferimento, quanto l’anima con cui viene raccontata una storia. L’onestà con cui il passato e il presente vengono mescolati nei film, senza paura di sbagliare e con un pizzico di follia per destrutturare le immagini e i linguaggi, con la finalità di creare qualcosa che porta avanti il racconto e la riflessione sull’oggi. Effettivamente oggi, più che mai, è fondamentale capire e rivedere le problematiche del passato per agire direttamente sul presente e, di conseguenza, sul futuro. In questo senso, il materiale di archivio, soprattutto quello privato e amatoriale, ha aperto in me una chiave emotiva che continua a guidare il mio lavoro.