Di seguito, pubblichiamo qualche domanda rivolta alla regista Ana Lungu in merito al suo film in concorso Triton (Merman).
Archivio Aperto esplora il tema della memoria e degli archivi. In che modo il tuo film intercetta questo tema? Quali elementi del film sottolineano questa esplorazione della memoria?
Merman è basato su filmati amatoriali rumeni in 8mm girati tra la Seconda Guerra Mondiale e la Rivoluzione, in particolare durante la dittatura di Nicolae Ceausescu (1965-1989). Poiché la tecnologia 8mm era ampiamente disponibile nel mondo occidentale durante gli anni ’60 e ’70, i filmati amatoriali erano all’ordine del giorno e sono ora associati alla vita di tutti i giorni. Ma dietro la cortina di ferro i film amatoriali erano rari. A quel tempo in Romania era quasi proibito avere una cinepresa 8mm; chi ne aveva una sapeva che sarebbe potuto incorrere nell’ira del regime riprendendo qualsiasi cosa. La stessa regola vale per le fotografie: ecco perché durante la dittatura venivano scattate così poche foto per le strade. Un Jonas Mekas rumeno o una Vivian Maier rumena non potrebbero esistere.
Sono nata nel 1978, quindi sono cresciuta negli anni peggiori della dittatura di Ceausescu. A poco a poco, il controllo del dittatore sulla popolazione aumentò e la dissimulazione divenne una capacità di sopravvivenza necessaria. I cittadini rimasero profondamente consapevoli della differenza tra la loro vita privata e la loro personalità pubblica. Questa divisione tra privato e pubblico è una caratteristica della vita sotto il totalitarismo e penso che le immagini che emergono da tali regimi siano preziose, poiché mostrano tanto quanto nascondono e preservano tanto quanto cancellano.
In che modo le immagini di archivio influenzano la costruzione della narrazione? Puoi parlarci di una sequenza nel tuo film in cui le immagini di archivio hanno trasformato o arricchito il messaggio che intendevi comunicare?
Il nostro film si basa su tre archivi privati, ciascuno trattato distintamente. La prima parte è un film all’interno del film. Mio zio, un ingegnere, ha girato video durante l’infanzia di sua figlia. Quando lei si sposò e lasciò il paese, lui le fece un film, un regalo di nozze che intitolò Once Upon a Time.
Mentre lavoravo a Merman, stavo leggendo Uncreative Writing di Kenneth Goldsmith e mi ha aiutato a trovare l’idea di rifare il film di mio zio. Goldsmith ritiene che a causa dei cambiamenti portati dalla tecnologia e da Internet, ci troviamo di fronte a una quantità di testo disponibile senza precedenti e il problema non è la necessità di scriverne di più; dobbiamo invece imparare a gestire la grande quantità che esiste. Loda ciò che è “non originale” e crede che, lavorando con il linguaggio, sia impossibile non esprimersi. Ho cercato di estendere questo alle immagini.
Quali sono i film found footage o sperimentali che hanno avuto un ruolo importante per la tua formazione?
Sono una grande ammiratrice dei lavori di Yervant Gianikian e Angela Ricci-Lucchi, ma non sono sicura che ci sia un’influenza diretta sul mio film. Piuttosto, ho imparato a guardare le immagini in modo diverso grazie ai loro film.
Nel caso di Merman (la prima volta in cui ho lavorato con gli archivi) i punti di riferimento per me e Dane Komljen, co-sceneggiatore montatore, erano per lo più letterari. Abbiamo iniziato con Speak, Memory di Vladimir Nabokov e la sua indiscutibile fiducia nel valore di tutto ciò che è perduto e nella necessità di resuscitarlo semplicemente perché non c’è più; abbiamo continuato con la prosa di W.G. Sebald e ci siamo lasciati ispirare dal modo in cui combina passato reale e immaginario, documentario e fittizio; e abbiamo concluso con In Memory of Memory di Maria Stepanova.